L’OMS (Organizzazione
mondiale della Sanità) ha ufficialmente riconosciuto, il “buon out” come
sindrome, precisando che non si tratta di una vera e propria malattia si
tratta, ma di “problema associato alla professione”. Il burn out si
riferisce ai fenomeni nel contesto occupazionale, nel dettaglio alle figure
professionali che svolgono il loro lavoro nell’ambito sanitario, sociale e d
educativo, professioni quindi volte all’aiuto, alla cura della relazione umana,
costantemente a contatto con persone in stato di “bisogno”, e non ad altri
ambiti della vita.
Nell’elenco dei nuovi
disturbi medici dell’OMS che sarà “operativo” dal gennaio 2022, verranno
riconosciute altri tipi di disturbi come ad esempio l’utilizzo eccessivo dei
videogiochi ovvero i “disturbi da dipendenza”, insieme al gioco
d’azzardo e alle droghe come la cocaina.
In realtà il primo ad
occuparsi di burn out è stato lo psicologo Herbert Freudenberger nel 1974, che
parla di “burn out” applicato ai lavoratori volontari di un ospedale pubblico,
definendone la provenienza dal gergo della strada, sottolineando lo “scoppio”
come effetto di un’assunzione eccessiva di sostanza stupefacente. In italia
sarà Palmonari a parlarne nel 1978. Secondo Maslach (1976, 1982) il burnout è
una sindrome multidimensionale caratterizzata principalmente da tre componenti:
esaurimento emotivo, depersonalizzazione e mancata realizzazione personale, che
progressivamente si sviluppano partendo da uno stadio embrionale di quotidiane
incongruenze e squilibrio tra le richieste dell’ambiente lavorativo e le
risorse del lavoratore, fino ad uno stato depressivo (da non confondere con la
depressione) che presenta spossatezza sul luogo di lavoro, cinismo, isolamento
o in generale sentimenti negativi ed efficacia professionale ridotta.
Il burn out non è un problema unicamente del lavoratore, ma di tutta l’organizzazione lavorativa, si manifesta comunque nel “bruciarsi”, “consumarsi” del lavoratore che esposto al rischio proveniente dal malfunzionamento del sistema lavoro.
Olga Solmi e Michele Piattella: Psicologi del lavoro